Alberto Bragaglia, il "pictor philosophus" dell'avanguardia italiana, è stato di recente grandemente rivalutato dalla critica internazionale. Il libro esce in occasione del trentennale della scomparsa. Nato a Frosinone nel 1896, da una "dinastia" di artisti, Alberto Bragaglia vide per decenni offuscata la propria fama da quella assai più facile di cinematografari, fotografi e teatranti, che pure molto dovevano alle sue idee rivoluzionarie e geniali. Oggi, dopo i saggi di Giuseppe Selvaggi e Franco Simongini, di Toni Bonavita e Mario Verdone, è noto che la "mente" di tutto quel movimento artistico che storicamente fu definito "bragagliesco" era Alberto (il "braccio", il fratello maggiore Anton Giulio, il primo a riconoscere nei propri scritti la priorità assolute del pictor-philosophus). Dopo aver insegnato per oltre quarant'anni Filosofia e Storia nel licei romani, e dopo aver collaborato per decenni a riviste e giornali specializzati, i suoi dipinti giovanili, le tele surrealiste e i "fogli meravigliosi" (definizioni di Guzzi e Bonavita) tornarono ad affascinare quali autentici capolavori dell'Astrattismo (sua l'invenzione, nel 1919, della Policromia Spaziale Astratta, della quale si occupa anche il fratello Anton Giulio Bragaglia nel suo libro più famoso, Del Teatro teatrale), sorprendendo per la freschezza e per la coerenza di settant'anni di pittura.