"Pregare. Se non aiuta certamente non nuoce": così Benito Mussolini riassumeva il suo rapporto volutamente ambiguo con il cattolicesimo. Ateo convinto, si era conquistato il favore degli squadristi grazie alla sua veemente retorica anticlericale, ma una volta salito al potere nel 1922 non esitò a cambiare rotta pur di assicurarsi il sostegno e la legittimazione delle gerarchie vaticane. Concesse agevolazioni non richieste, intavolò delicate trattative diplomatiche per risolvere la questione romana, mitigò cinquant'anni di legislazione separatista, arrivò a fingersi rispettoso delle tradizioni portando all'altare donna Rachele: un'avveduta politica della "mano tesa" che aveva il duplice obiettivo di guadagnare credibilità nazionale e internazionale e di rassicurare il diffidente elettorato cattolico. Ma allo stesso tempo il Duce esautorava il Partito popolare di don Sturzo e soddisfaceva le istanze dei fascisti della prima ora incoraggiando le aggressioni al clero locale e alle cooperative bianche (atti di violenza che in pubblico condannava). Giovanni Sale riporta alla luce i retroscena di una lunga trattativa culminata nella firma dei Patti Lateranensi, ricostruisce le posizioni delle parti, ora dettate dal tornaconto, ora dallo sdegno, e dimostra l'astuzia di una strategia ben dissimulata che permise a Mussolini di impostare il fascismo come nuova religione di Stato. Il tutto facendosi proclamare agli occhi del mondo "uomo della Provvidenza".