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La condizione di cittadino è di nuovo centrale nel dibattito e nel conflitto politico. Risale a galla quella che pareva zavorra nel Novecento delle grandi promesse di giustizia sociale, ed è questa la modalità della partecipazione e dell'accesso alla comunità statale. L'appartenenza alla nazione è un fatto originario o genealogico, jus sanguinis? Oppure è convenzionale e contingente in radice, jus soli, ed è solo la stessa forma della partecipazione a darle sostanza? La questione si fa radicale nella progressiva decadenza dei regimi democratici che vieppiù si presentano come spazi dove la politica non ha più la missione né la capacità di ridistribuire risorse, bensì solo d'essere amministrazione dell'esistente, d'un mero condominio le cui regole sono dettate da poteri esterni, primo tra tutti il mercato. Le società si fanno pluraliste e multiculturali, e l'identità e l'appartenenza ridiventano un problema primario, già che non possono più darsi per scontate. Il libro discute di tutto ciò, riprendendo un'antica tradizione di pensiero che del cittadino fa un protagonista della vita attiva, e generosamente si pone la domanda se sia giustificata la sua esclusiva titolarità.