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La Rivoluzione russa del 1917 ha inciso profondamente sulla storia del Novecento. E anche sulla vita di Antonio Gramsci, giovane sardo emigrato a Torino e giornalista socialista. Formatosi nel clima antipositivistico del tempo, egli ha al centro del proprio bagaglio culturale l'importanza della soggettività e della volontà. È questa formazione a permettergli di entrare in sintonia con il pensiero e l'azione di Lenin, che contro tutte le previsioni del marxismo ortodosso, oggettivista e determinista, realizza la rivoluzione nel suo Paese. Gramsci diviene così uno dei più originali osservatori dei fatti di Russia. Quasi dieci anni dopo, nel 1926, però, il suo sguardo sarà ben più preoccupato e critico, come appare dallo scambio epistolare con Palmiro Togliatti, qui riportato in appendice. «L'incendio rivoluzionario si propaga, brucia cuori e cervelli nuovi, ne fa fiaccole ardenti di luce nuova, di nuove fiamme, divoratrici di pigrizie e di stanchezze. La rivoluzione procede, fino alla completa sua realizzazione. È ancora lontano il tempo in cui sarà possibile un relativo riposo. E la vita è sempre rivoluzione»