In questo libro Scholem racconta la sua «infanzia berlinese», le precoci discussioni sul sionismo, le influenze e le divergenze con Martin Buber e Franz Rosenzweig, e poi le tappe di studio a Heidelberg, Jena, Berna, Monaco e Francoforte, la scoperta per caso dei testi della mistica ebraica, i suoi primi pionieristici studi che avrebbero «inventato» una nuova disciplina. Nella seconda edizione, riscritta in ebraico poco prima di morire, aggiunse una parte finale che non c'era nella versione in tedesco, raccontando i suoi primi anni in Palestina, il suo impatto con la nuova realtà e i rapporti col mondo politico e culturale della comunità ebraica di Gerusalemme. Un'affascinante autobiografia intellettuale che è anche una definizione in progress dell'identità ebraica.
Per Gershom Scholem la Germania rappresentò molto presto un territorio ostile. Il suo sionismo nacque ancora sui banchi del ginnasio, e fu innanzitutto una scelta culturale. Allo scoppio della guerra, rifiutò qualsiasi coinvolgimento personale ed emotivo nel conflitto, e si sottrasse all'obbligo militare. Un simile atteggiamento era, per l'epoca, estremo, e il giovane Scholem lo mise in pratica con sorprendente determinazione. Le pagine dell'autobiografia dedicate alla guerra e ai sotterfugi per ottenere il congedo sono singolarmente prive di pathos, e contrastano con l'alternarsi di entusiasmo bellico e amara disillusione che caratterizzò la Germania tra il 1914 e il 1918, coinvolgendo in pieno anche la minoranza ebraica. Gershom sembra aver vissuto quegli anni secondo un diverso ritmo temporale, intento alla preparazione dell'esilio volontario, e quasi indifferente a un dramma tedesco che riteneva di non dover condividere. Fin da adolescente, dunque, si nutrí di un pervasivo senso d'estraneità, preparandosi a un'altra terra simbolica; un altrove spirituale e geografico in cui trasportare il proprio ebraismo. La sua decisione a favore della cultura ebraica fu precoce e totale. dalla prefazione di Giulio Busi