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"[...] Granchi è anche scultore e la tematica della sua pittura è fortemente implicata con l'architettura; e Gioli che propone la sua architettura, fortemente distillata e simbolica, col disegno, in un certo senso abbastanza prossimo alla pittura. Dunque questa mostra è un caso davvero singolare, dove le parti sembrano invertirsi: l'architetto che si fa pittore e il pittore che si fa architetto. Quasi un racconto mitologico, del resto già percorso da Ovidio e poi da Kafka, dove il trasformarsi di un essere o di un oggetto (nel nostro caso la pratica di un'arte) in un altro di natura diversa, diventa motivo dominante [...] a dimostrare come, ancora una volta, sia l'intuizione a creare l'oggetto artistico, e che la tecnica resta strumento secondario per esprimerla [...]. All'affascinante tematica metafisica dei nuclei urbani di Gioli - raramente punteggiati da qualche albero, ma mai con presenza d'umano, fa eco l'inquieta e spesso disperata narrazione dell'umanità di Granchi, sempre condannato a marciare con la sua ombra verso una meta che non sarà mai raggiunta. Quasi due visioni del mondo che coincidono nel silenzio della solitudine che caratterizza il loro lavoro." (F. Gurrieri)
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