«Senza pensare ho preso la mitica Tokarev di mio nonno e sono corso dietro ai poliziotti. L'unica cosa che sentivo era una specie di gioia di esistere.
Mi sono fermato davanti a uno di loro, i suoi occhi erano stanchi e tristi. Ho mirato alla faccia,ho cercato di premere il grilletto con tutte le mie forze, ma non riuscivo a muoverlo di un millimetro.
Mio padre ha cominciato a ridere: - Vieni qui, piede scalzo! Non va bene sparare in casa, non lo sai?»
Nicolai Lilin ha solo ventinove anni, ma ha da raccontare una vita straordinaria e un universo che non assomiglia a nessun altro: anche per questo Educazione siberiana è un libro unico, senza paragoni possibili.
Cosa significa nascere, crescere, diventare adulti in una terra di nessuno, in un posto che pare - e non è - fuori dal mondo?
Pochi forse hanno sentito nominare la Transnistria, regione dell'ex Urss autoproclamatasi indipendente nel 1990 ma non riconosciuta da nessuno Stato. In Trans-nistria, ai tempi di questa storia, la criminalità era talmente diffusa che un anno di servizio in polizia ne valeva cinque, proprio come in guerra.
Nel quartiere Fiume Basso si viveva seguendo la tradizione siberiana e i ragazzi si facevano le ossa scontrandosi con gli sbirri o i minorenni delle altre bande. Lanciando mini molotov contro il distretto di polizia, magari: «Quando le vedevo attraversare il muro e sentivo le piccole esplosioni seguite dalle grida degli sbirri e dai primi segni di fumo nero che come fantastici draghi si alzavano in aria, mi veniva da piangere tanto ero felice». La scuola della strada voleva che presto dal coltello si passasse alla pistola. «Eravamo abituati a parlare di galera come altri ragazzini parlano del servizio militare o di cosa faranno da grandi».
Ma l'apprendistato del male e del bene, per la comunità siberiana, è complesso, perché si tratta d'imparare a essere un ossimoro, e cioè un «criminale onesto». E quest'altra scuola, ben più importante di quella della strada, passa soprattutto attraverso i vecchi, i criminali anziani a cui la comunità riconosce lo specialissimo ruolo di «nonni» adottivi. Sono loro, giorno dopo giorno, a trasmettere valori che paiono in conflitto con quelli criminali: l'amicizia, la lealtà, la condivisione dei beni. L'amore per i disabili, che i siberiani chiamano «Voluti da Dio». E anche la cultura del tatuaggio, della pelle che dice il destino di ognuno. «Nonno Kuzja - scrive Lilin - non mi educava facendo lezioni, ma raccontando le sue storie e ascoltando le mie ragioni. Non parlava della vita dalla posizione di uno che la osserva dall'alto, ma da quella di un uomo che sta in piedi sulla terra e cerca di restarci il più a lungo possibile». Grazie alla forza della narrazione, quel mondo incredibile, tragico, dove la ferocia e l'altruismo convivono con naturalezza, diventa a poco a poco familiare e vero.
Come lo stile, che è intenso ed espressivo, anche in virtù di una buona ma non perfetta padronanz