Negli anni in cui elaborava la sua opera capitale, "Il mulino di Amleto", Giorgio de Santillana pubblicò alcuni saggi che miravano a introdurci a quella nuova visione, così sconcertante, di tutto il mondo arcaico. E innanzitutto si soffermò sull'idea posta all'origine di ogni altra nella imponente concezione del cosmo che ci appare già formata al nascere della scrittura: l'idea di 'fato'. Questa necessità scandita nel tempo, che tocca tutte le figure "sul 'teatro del mondo ammascherate', come direbbe Campanella", ed è segnata dal moto degli astri, si lascia riconoscere nei più svariati documenti: "nel paesaggio coltivato, nelle immagini, nel mito, nella tradizione molte volte dispersa e frammentata ma in cui si ravvivano, come i pezzi di un 'puzzle', ingegnose costruzioni narrative che si erano venute diffondendo e che, ricomposte almento in parte, si rivelano essere il primo linguaggio scientifico". Ma la perfetta "incastellatura di corrispondenze", per cui numeri e immagini si dispongono nei punti nodali di un cosmo dove "tutto è come deve essere, se è", lascia intravedere un dramma iniziale, "un grande conflitto dei primi tempi, in cui venne dissestata la fabbrica dell'universo". Capire il mito o la scienza arcaica, avvinti - come Santillana ci ha dimostrato - l'uno all'altra, è un riscoprire le tracce sia di quell'ordine sia di quel dissesto. Dai Caldei a Parmenide, a cui qui è dedicato un celebre saggio, è stato questo il fuoco centrale del pensiero. Nei saggi qui raccolti torniamo a percepirne la luce.