Il romanzo di Silone, pur presentandosi come un'opera intessuta di una sua verità storica, che esprime gli stati d'animo collettivi dei contadini di Fontamara, è scandito da un'alternanza di registri che confluiscono nella coralità e nella denuncia violenta di ogni ingiustizia. La vicenda si inquadra nei primi anni della dittatura fascista a Fontamara, "un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago del Fucino". La scala sociale del paese conosce solo due condizioni: quella dei "cafoni", che sono i braccianti, i manovali, gli artigiani poveri" e quella dei piccoli proprietari, ma sono solo i primi a subire i soprusi e le ingiustizie, divenuti per loro così antichi da sembrare naturali come la neve e il vento. Il romanzo registra la scintilla della ribellione, personificata da Berardo Viola, che assurge a emblema di un nuovo, seppure ancora impreciso e velleitario, livello di dignità. Il giovane subirà le torture della milizia fascista, ma sarà il primo "cafone" a morire in nome di una causa collettiva. In questa luce, anche l'acqua fatta deviare abusivamente dal potente podestà di Fontamara assume un significato simbolico e vitale: il risveglio catartico delle coscienze, impastate dall'ignoranza e dall'apatia di secolari prevaricazioni.