La domanda di Papa Francesco: "Chi sono io per giudicare un gay?" ha aperto uno spiraglio nella riflessione all'interno della Chiesa e nel dialogo con il mondo. È caduto un tabù pesante: il silenzio e l'omertà su un tema invece che, come le pagine di questo libro dicono, non è mai stato estraneo al Vangelo. Tutto dipende da cosa vogliamo dire quando pronunciamo la parola "amore". L'esistenza gay e lesbica non può non interrogare la sostanza del Vangelo riguardo al farsi prossimo nei confronti degli altri. Se l'amore è legge suprema dell'essere, se la relazione come benedizione e il dono di se stessi a chi è diverso da sé si concretizza innanzitutto nei confronti di chi è vittima di ostracismo sociale, allora i credenti sono chiamati in causa dal rischio di essere attori o complici di oppressione, concorrendo a determinare la violenza peculiare contro questa forma di amore. Il Vangelo di Gesù, infatti, scopre, assume, celebra il senso di ogni persona diversa, anche laddove il potere dominante clericale o statale o sociale che sia vede e impone abominio, perdizione, scandalo. Perché, altrimenti, cosa vuol dire annuncio di salvezza? Perché, altrimenti, qual è se non questa la scandalosa buona novella? Essa annuncia e opera la rottura di ogni ordine sociale basato sull'esclusione, di ogni opinione pubblica coercitiva e di ogni senso comune che nega dignità integrale a qualunque essere umano. Gesù ha mostrato come e perché essere sempre avanti a tutti per annunciare la liberazione da abitudini, visioni, tradizioni, strutture sociali e mentali che generano espulsione: anche quelle garantite dalle norme religiose o sociali, anche quelle più consolidate e interiorizzate, come l'omonegatività.