Un prete può celebrare ogni giorno la messa, essere fedele al confessionale, operare la carità, preparare con diligenza le omelie e le catechesi, eppure lasciare nel cuore di chi lo incontra l'impressione di essere altrove, di non entrare con tutto se stesso in ciò che fa e in ciò che vive. Le azioni devono vibrare, devono avere cuore: un prete asettico e distante non incontrerà mai davvero la sua gente, non comunicherà il Vangelo e finirà il più delle volte col «nascondersi» dentro e dietro il ministero. «La nostra formazione spiegano gli autori puntava parecchio sul divenire "buoni funzionari", onesti lavoratori che fanno bene il loro mestiere. Il rischio di una tale impostazione è quello di rimuovere completamente un mondo che in ogni caso non si riesce a mettere a tacere. Sono sotto gli occhi di tutti alcune parabole ministeriali di ottimi "funzionari" che si trasformano con il passare del tempo in preti incapaci di amare e di farsi voler bene; e quando succede questo anche il Vangelo non passa più. La stagione successiva alla nostra conosce forse il rischio opposto: quello di una enfasi eccessiva sulle risonanze emotive di un ministero che viene sempre e solo misurato dalla capacità di dare benessere e di scaldare il cuore. A volte i sentimenti sono quasi esibiti, troppo facilmente messi in scena, tanto da apparire ingombranti se non addirittura falsi».