Al suo primo apparire, nel 1953, "Il mare non bagna Napoli" sembrò a molti inserirsi in quel filone che allora e dopo venne chiamato «neorealismo». Era tutt'altra cosa. Nato dall'incontro della scrittrice con quella città che era e non era la sua uscita in pezzi dalla guerra (un incontro che fu insieme un addio: a Napoli la Ortese non tornerà, in seguito, praticamente mai), il libro è la cronaca di uno spaesamento. La città ferita e lacera diventa infatti uno schermo sul quale l'autrice proietta ciò che lei stessa definisce la propria «nevrosi»: una nevrosi metafisica, una impossibilità di accettare il reale e la sua oscura sostanza, la cecità del vivere, un orrore del tempo che ogni cosa corrode e divora e insieme il riconoscimento del «cupo incanto» della città, del mondo. Tutto il libro, con la sua scrittura «febbrile e allucinata» e al tempo stesso rigorosissima, è un grido contro questo orrore, da cui lo sguardo come quello della bambina Eugenia il giorno in cui mette gli occhiali, nel primo, indimenticabile racconto vorrebbe potersi distogliere: e non può. La presente edizione è accompagnata da due testi del tutto nuovi e preziosi, scritti dall'autrice ripensando questo suo libro: per il lettore saranno la guida più sicura.