Teo Fortuna, pittore in Narni, in malarnese dopo il divorzio con l'avida Luciana, fatica a sbarcare il lunario. Artista talentuoso e onesto, egli tuttavia non si rassegna e continua la ricerca del Bello nella potenza della luce, che il paesaggio umbro gli restituisce in tutta la sua complessità. Radure appartate, piccole polle di acqua limpida e canneti, l'umidità onnipresente grazie alla quantità di acqua di fiumi e ruscelli gli permettono uno studio quotidiano e affascinante, impreziosito dalla pelle d'ebano della modella Amina e dal Vodun africano che appare a tratti e li accompagna. La sua tesi sulla creazione artistica procede di pari passi al racconto, intrecciandosi alla trama e creando l'occasione per riflessioni profonde sullo stato dell'Arte e sul suo valore. «L'ispirazione mi sorge dentro quando uno spirito esterno mi cede la luce che io riconosco come una promessa, un messaggio da trasporre, per via della bellezza. Non sarei pittore se non afferrassi la potenza della luminosità. Essa profila ogni cosa, ogni pianta, ogni insetto, ogni animale, ogni uomo sul pianeta. Le ombre, invece, distruggono. Ciò provoca lotta tra forma, luce e ombra...»