Prima di essere uno dei più importanti scrittori americani contemporanei, Tom Wolfe è stato un eccezionale giornalista. Adesso, da vero maestro della narrazione, ha deciso di occuparsi del suo straordinario strumento di lavoro: il linguaggio. Con sprezzo del pericolo e irriverente euforia, Wolfe si avventura verso i territori più sacri del sapere contemporaneo per sovvertirne i paradigmi, sostenendo che non è l'evoluzione della specie ad aver condotto l'umanità alle sue prodigiose conquiste, bensì il linguaggio. Da Alfred Russel Wallace - l'autodidatta che arrivò a elaborare la teoria della selezione della specie prima di Charles Darwin ma poi la abbandonò proprio perché non riusciva ad applicarla al linguaggio umano - ai neodarwinisti, che per anni hanno sostenuto che nella nostra mente esiste una ''grammatica universale'' pronta a evolversi, Wolfe ripercorre il cammino degli scienziati che hanno più volte fallito nel tentativo di spiegare il miracolo delle parole. Fino ad arrivare al presente e alla figura di un altro ''outsider'', l'antropologo Daniel Everett, che ha vissuto per anni nella giungla amazzonica per studiare la lingua pirahã, le cui rarissime caratteristiche dimostrerebbero l'infondatezza delle tesi di uno dei più carismatici linguisti e pensatori contemporanei: Noam Chomsky. Un fondamentale paradigma del pensiero contemporaneo viene, sotto i nostri occhi, messo in discussione con l'eleganza, l'intelligenza, la brillantezza proprie di un grande scrittore. ''Il regno della parola'' è un saggio che è al tempo stesso una dimostrazione tangibile, pagina dopo pagina, riga per riga, di quanta energia e allegria possano nascere giocando con le più potenti armi che tutti noi abbiamo a disposizione, le parole.