Per apprezzare quanto il pensiero di Kant possa ancora fecondare un'«ontologia critica del presente» (Foucault), ci si deve liberare della sua immagine tradizionale di professore austero e pedante e valorizzarne piuttosto la vocazione di maestro di spiritualità e saggezza animato da una limpida religiosità filosofica, come compresero soprattutto i suoi primi lettori in Oriente che lo posero tra i Quattro saggi del mondo accanto a Confucio, Buddha e Socrate. Per Kant la filosofia non deve essere un'ancella ma una guida che precede la teologia con il lume della ragione. Richiamandosi alla tradizione delle scuole ellenistiche, egli propone una vera e propria «ascetica etica», per perseguire, con disposizione d'animo «ardito e lieto», l'ideale di una vita autenticamente umana, impegnata nella cura di sé e degli altri. In questa prospettiva il cosmopolitismo e il progetto per la pace perpetua spiccano come la coerente declinazione politica e giuridica della tensione che anima tutto il suo filosofare, quell'ispirazione «cosmica» che invita alla costruzione di un mondo comune, nel quale possa esprimersi armonicamente la polifonia delle fedi e delle culture.