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Corrado Alvaro scrisse questo pamphlet nel 1944, "l'anno più tragico della nostra storia". La sua pubblicazione avvenne dapprima a puntate sul "Popolo di Roma". L'Italia era nel pieno di un'aspra guerra civile, lacerata dalla drammatica contrapposizione tra il Sud liberato e il Nord sotto il tallone dell'occupazione tedesca. Il conflitto tra le due parti del paese, "latente fin dalle origini dell'assetto nazionale", stava ormai arrivando alle soglie della sua "estrema manifestazione". Vent'anni di fascismo avevano disperso e mortificato "la solidarietà e il patriottismo", avevano avvilito "il senso della responsabilità individuale", procurando un sentimento diffuso di passività e di rassegnazione. Sul banco d'accusa di Alvaro sono le classi dirigenti post-unitarie, che con i loro errori e i loro cinismi hanno radicato l'idea di uno Stato nemico. La verità è che a tutti i potenti che si sono susseguiti al comando nel corso della storia recente del paese "non è mai importato che l'Italia avesse un popolo più o meno civile, più o meno costituito in nazione". Particolarmente penetrante, a questo proposito, l'analisi della situazione del Mezzogiorno, in cui lo scollamento tra popolo e classi dirigenti si traduce in un parassitismo sempre più profondo e nocivo per l'intero paese. Alvaro, infatti, "è per le autonomie, per il fare da sé, il saper fare da sé", rileva Mario Isnenghi nella sua introduzione.