La piazza di Santa Maria, un po' isolata, non aveva niente di bello. Pure Miriam passava volentieri quasi l'intera giornata a lavorare fitto fitto davanti la finestra bassa che si apriva proprio di faccia alla chiesa. Mentre infilava l'ago o cercava le forbicine da ricamo dentro il cestino si divagava per qualche minuto a dare un'occhiatina fuori.
Non si vedeva niente di bello, in verità, e Severa non aveva torto quando diceva che a star lì seduta pareva di guardare dalla grata d'un convento.
La piazza, di solito poco popolata, era chiusa di qua dal palazzo dei nobili Renzoni, alto alto, col muro color di rosa che diventava rossiccio appena pioveva e il nespolo che nascondeva due finestre; di là da un casone, maestoso e cadente, che doveva essere atterrato per ingrandire la strada, la rua di Carlomagno (e i lavori non erano mai cominciati per non voler distruggere un ponticello a colonnini sul quale si diceva avesse posato i piedi Carlomagno in carne e ossa); dirimpetto al casone c'era la chiesetta di Santa Maria Inter Vineas, col campanile mozzato da un fulmine, il forno allato al campanile, e, attaccata alla chiesa, la canonica (con l'ultima finestra sulla imboccatura della stradina che se n'andava ai Cappuccini, tutta storta e ciottolosa, accompagnata dal brontolio del Tronto).