Marcello Gigante in questo saggio prende le distanze dal giudizio degli interpreti della poesia leonidea che l'hanno preceduto, dal Wilamowitz al Gow, e offre una lettura nuova degli epigrammi di Leonida di Taranto. L'opera del poeta tarantino, originale e scabro, si configura come lo specchio di una società umile e operosa. Se l'essenzialità della forma è il tributo al canone ellenistico, il realismo delle descrizioni è la cifra più autentica del suo stile. Leonida appare, alla fine, come un tassello significativo di una ricca e varia cultura non soltanto letteraria, ma anche materiale della Magna Grecia, in una fondamentale epoca di raccordo tra mondo greco e mondo latino.