"L'immoralista" e "La porta stretta" sono due romanzi di ammirevole fattura stilistica che affrontano, da punti di vista differenti, lo stesso problema: nel primo l'esigenza di autorealizzazione di Michel e il suo nichilismo finiscono per uccidere la giovane moglie; nel secondo, Alissa percorre l'opposta strada della rinuncia e dell'ascesi spirituale fino ad annullarsi nella morte. La contraddizione tra le due opere rispecchia esemplarmente il conflitto interiore di Gide e il loro senso finale sembra essere che tanto l'immoralismo, quanto la virtù conducono alla dannazione dell'aridità. Saggiamente, lo scrittore rinuncia a risolvere il contrasto optando per l'ambiguità.
Dal titolo e dalla corrente letteraria a cui appartiene, lo consideravo un libro più introspettivo e di più difficile lettura. Invece, scorre abbastanza fluente e non ci sono punti oscuri.
La storia si basa sulla doppia malattia che colpisce dapprima il protagonista e, in seguito, la moglie. Però, se questi riesce a vincere il male che lo colpisce anche grazie all'aiuto della moglie, quest'ultima, alla fine, deve arrendersi, vittima anche della super-vitalità del marito.
Un po' dubbiosa rimane la metamorfosi del protagonista, che da malato quasi terminale riesce a riacquistare le forze curato dal sole, la moglie e dai bambini che lo vanno a trovare.
Altra sua stranezza è la caccia di frodo che compie, insieme a un suo servitore e all'insaputa del padre di questi (che si occupa dei terreni del padrone), nella sua stessa campagna in Normadia: evidentemente la malattia deve avergli lasciato danni permanenti anche nel sistema celebrale (questo si evince anche dal suo non riuscire a non uscire la sera, dopo aver cenato).
In definitiva, è una storia da leggere in maniera disimpegnata.
GG - 01/07/2005 15:18