Mai come nella "Lettera al padre", scritta nel novembre del 1919, affidata alla madre senza tuttavia giungere al destinatario, Kafka ci ha dato un ritratto così lucido di sé. E molti dei motivi che vengono toccati in questa confessione anche spietata - primo fra tutti quello di "un immenso senso di colpa" - non possono che ricordare i suoi personaggi più famosi. Quello che qui viene messo in scena è un vero e proprio conflitto. Figura che incarna un'autorità assoluta, che "ha l'aspetto enigmatico dei tiranni, la cui legge si fonda sulla loro persona, non sul pensiero", agli occhi di Kafka il padre appare come il tipico rappresentante di un mondo da cui egli invece si sente escluso: pratico, utilitaristico, ben lontano dalle sue aspirazioni. Così, in pagine di forte impatto emotivo, Kafka svela la sua natura di "figlio diseredato" e proscritto, non compreso nella vocazione di scrittore, inquieto e in cerca di conferme quanto il suo avversario ostenta sicurezza. Nel saggio posto in appendice Georges Bataille indaga in modo provocatorio sui momenti di questa contesa. L'esperienza di Kafka diventa anche occasione per interrogarsi sul senso ultimo della letteratura. Forse nessun altro scrittore ha saputo mostrare come quel senso sia tutt'uno con la vita stessa.
Non mi era mai capitato di sentirmi tanto vicina ad un autore durante la lettura della sua opera come durante la lettura di questa Lettera. Intima, combattuta, commovente... Una lettura veloce e -nonostante lo stile un poco astruso di Kafka- scorrevole.
Kafka trova il coraggio di mettere nero su bianco tutti i malintesi e i punti in sospeso tra lui e il padre, figura piena di interrogativi della sua infanzia e crescita. La paura del padre e del suo giudizio, delle critiche riguardo alle scelte di Franz: dagli studi alle donne. Il paragone con il differente tipo d'uomo in cui si è trasformato con il nipote, un padre affettuoso e giocoso come non è mai stato con il figlio.
Vengono riportati in vita ricordi e situazioni famigliari più o meno care all'autore, giochi e paure di bambino, immagini che arricchiscono e approfondiscono a tal punto la psiche di Kafka che in seguito, leggendo altre sue opere, tutto sembra dire: Certo, con un carattere così!. Mi è sembrato di conoscere Kafka tanto personalmente da poterlo consolare o rassicurare.
E' inevitabile entrare in empatia con l'autore, provare il suo sconvolgimento e i suoi timori, grazie alle frasi lunghe e spezzate da incertezze. Il rapporto tra Franz e il padre è una sorta di amore/odio che una frase della lettera stessa sottolinea e simboleggia al meglio: "...come in quel gioco infantile in cui uno prende la mano dell'altro, la tiene stretta e continua a dire: «Ma vattene insomma, vattene, perché non te ne vai?»." Franz teneva stretto e per quanto desiderasse che il padre se ne andasse, non credo abbia mai mollato davvero. Questa lettera ne è la prova.
Roberta - 23/06/2014 14:37