L'avevano soprannominata Minuzzola, perché era tanto sottile e così piccina, che avrebbe potuto far concorrenza al celebre Pollicino, di lieta memoria.
Minuzzola vide la luce in una lurida topaia, esposta a tutte le intemperie: sua culla fu la miseria, ed ebbe per unico trastullo, nella sua infanzia, un povero gatto, affamato come lei; e col quale divideva le lunghe, eterne ore della giornata, in cui rimanevano soli, senza che alcuno si occupasse di loro.
La matrigna di Minuzzola lavorava in una filanda; il padre era tagliapietre: tutt'e due insieme guadagnavano abbastanza da poter vivere e mettere da parte qualche cosa.
Ma il tagliapietre amava il gioco; la filandiera il bere; entrambi rincasavano a tarda ora nella notte: l'una ubriaca da non reggersi, l'altro di umor nero, perchè perdeva sempre.
Ed allora la misera topaia diventava un inferno.
Erano busse, grida, bestemmie, miagolii, finchè la donna cadeva sul pagliericcio a digerire il suo vino ed il marito gettava un tozzo di pane a Minuzzola, dicendole: