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Fino al secolo scorso, gli scritti inerenti il museo tendevano più che altro a forme di cultura manualistica. Nell'esplicitazione delle tipologie, dei percorsi, dei concetti di illuminotecnica. Tutto ciò finché si è pervenuti al fondamentale evento ricostruttivo dei musei italiani, successivo al secondo evento bellico mondiale, dal quale fu evidenziato il limite di un'interpretazione prettamente pragmatica, che fosse rivolta esclusivamente a finalità conservative e rappresentative. Le distruzioni dopo la guerra non risparmiarono i grandi musei. A porre rimedio ad esse si iniziò fino dagli anni Cinquanta, quando fu dato inizio ai primi interventi. Allorché la cultura del conservare e dell'esporre nel museo prese spontaneamente ad intersecarsi con il senso dello spirito critico appartenente alle problematiche del restauro. Assumendo da quell'ambito una speciale sensibilità per le esigenze di riconoscibilità dell'autentico e dell'originale, e per quelle inerenti le metodologie integrative delle lacune. La ricchezza di modalità attuative nel museo in quei mitici decenni passavano per i progetti di Scarpa, di Albini e degli altri che da allora si prese a riconoscere come "I maestri della museografia", prettamente italiani, ma in grado di estendere la loro influenza in tutto l'ambito internazionale.