Daniel Everett andò nel cuore dell'Amazzonia, presso il popolo dei Pirahà, nel 1977 con la moglie e i suoi figli piccoli, come scienziato e come missionario. Il resoconto scientifico delle sue scoperte si fonde con la narrazione della vita trascorsa nei villaggi amazzonici: bellezza, serenità, ma anche pericoli, gravi malattie, rischi mortali. Lì Daniel scopre e apprende una lingua che contraddice le teorie di Chomsky, ritenuto fino ad oggi il maggior linguista vivente. Si imbatte in una cultura le cui forme sono per noi difficilmente immaginabili: per i Pirahã conta solo il presente, non esiste qualcosa di simile alla nostra idea di scorrimento storico del tempo, non sanno contare, non hanno i numeri e non ne hanno bisogno, non hanno nomi per indicare i colori, la durata media della loro vita è metà della nostra, ma hanno una saggezza e vivono una tale serenità che Daniel Everett, andato lì come missionario con l'idea di convertirli, ne esce convertito. Daniel Everett è stato il primo studioso che ha pienamente appreso la loro lingua, le sue scoperte hanno fortemente influenzato i più recenti studi linguistici e antropologici.