Illustre letterato della sua età fu considerato Pietro Giordani (1774-1848) di Piacenza, che per ristrettezze economiche e delusione amorosa entrò nell'ordine benedettino per uscirne dopo pochi anni. Nel 1807 a Cesena recitò il Panegirico a Napoleone, saggio di eloquenza classica e segno di ammirazione verso Bonaparte, ma il restaurato governo papale lo privò nel 1815 dell'ufficio di prosegretario dell'Accademia di Belle Arti a Bologna e lo bandì dallo Stato come liberale e come forestiero. A Milano strinse amicizia col Monti, collaborò alla Biblioteca italiana ma uscì dalla redazione per divergenze col direttore Acerbi. Da Piacenza fu espulso per le idee liberali e la stessa sorte, per interessamento dell'Austria, subì a Firenze, dove era amico di Niccolini, Capponi, Colletta. Poté tornare nel ducato, a Parma dove, però, nel 1844 venne incarcerato. Giordani è ricordato soprattutto come stilista e purista, restauratore dello stile illustre nella prosa; ma occorre dire che il suo purismo (ritorno ai trecentisti nella questione della lingua) s'inquadra nell'ideologia rousseauiana del ritorno alla natura, nel motivo sensistico dell'utile. Oltre gli «Elogi» di Napoleone, Canova, del pittore Galliadi, un ritratto di Monti, numerose epigrafi, scrisse un Discorso su una scelta di prosatori italiani, Degli asili d'infanzia, Intorno alla spedizione di Carlo Stuart, pagine di politica, arte, pedagogia, storia letteraria, mirando a creare una coscienza nazionale e una lingua purificata dalla corruzione settecentesca. Nemico dell'imitazione dei classici, della didattica e della pedagogia del suo tempo (dello scrivere in latino, dei metodi dei gesuiti) mirò a prolungare la cultura illuministica per lottare contro la vecchia educazione e diffondere la cultura oltre la cerchia dei dotti. Gravi ostacoli all'attuazione di queste idee furono la forma puristica e l'avversione che egli ebbe verso i dialetti. Il purismo fu per Giordani illuministico amore per il primitivo, ma era la forma non idonea a esprimere idee antioscurantiste, anticlericali, progressiste e sociali. Interessato al bene della «moltitudine faticante e misera di popolo, che i superbi dicon plebe», nello scritto incompiuto Se debbano impedirsi gli studi ai poveri lottò l'idea (detta «bestiale demenza») dei gesuiti che i poveri non dovessero studiare. Il concetto centrale del progresso educativo lo fece essere nemico sia dei «condensatori di tenebre» che condannarono Sarpi e Galilei sia del cattolicesimo liberale dell'età sua. Le idee di Giordani provenivano soprattutto dall'ambiente classicista e illuminista di Parma degli anni in cui Condillac e Rezzonico vi avevano diffuso il sensismo: la «materia senziente», la «forza» e «durata del pensiero», le «ferree leggi della sorda materia inorganica» sono in uno scritto del 1826 su Leopardi. L'incontro di Leopardi con Giordani, inizialmente letterario, fu un incontro di visione e concezione della vita.