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Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819)

Elido Fazi
pubblicato da Fazi

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In un'afosa giornata di luglio del 1796, a Bologna, due uomini s'incontrano per combinare un matrimonio. Il primo è Costantino, un inquieto agricoltore del Piceno, che oltre a essere sensale di nozze produce fucili e sciabole. Il secondo è Monaldo, giovane conte di Recanati, mite e ben educato, che aspira solo a metter su famiglia e a coltivare i suoi studi. Intanto la città è in fermento per l'arrivo di un certo Bonaparte, il "generalino francese" che a soli 26 anni ha già sconfitto i Piemontesi e gli Austriaci. L'Italia è fragile e divisa, e dietro alla bandiera della "Libertà" si cela il desiderio di conquista dell'ennesimo invasore straniero. Quanto tempo passerà prima che i Francesi arrivino anche nelle Marche? E chi difenderà il papa? Costantino è pronto a imbracciare le armi e già si prepara ad arruolare un piccolo esercito di insorgenti tra i montanari delle sue terre. Monaldo invece è più cauto: da poco è entrato a far parte del Consiglio Comunale di Recanati e il suo primo desiderio è quello di salvaguardare la sua famiglia e la sua città. Ma la Storia travolge tutto e tutti. Mentre la guerra infuria in Europa, sconvolgendone l'assetto politico, la quiete delle Marche è scossa insieme agli animi dei suoi abitanti. Tra questi anche i figli di Costantino e Monaldo, che condividono lo stesso nome di battesimo. Il primo Giacomo, ardimentoso come il padre, ne seguirà le orme entrando nella resistenza, mentre il secondo, geniale fin dall'infanzia, è destinato a lasciare il segno nella letteratura italiana e nel pensiero politico del suo tempo... In Potenza e Bellezza, Elido Fazi racconta due storie parallele. Da un lato, seguendo la parabola di Napoleone e rivelando l'uomo nascosto all'ombra dell'imperatore, denuncia con lucidità e minuzia la follia del potere, che non può mai saziarsi perché si nutre solo di se stesso. Dall'altro, attraverso un ritratto intimo e appassionato delle Marche e della sua gente, evoca la gioia e la pienezza che riceviamo in dono dalla natura, dalla poesia, dall'arte, e che dovremmo custodire come il nostro tesoro più prezioso. Perché, come scrive Giacomo Leopardi a soli 17 anni, nell'Orazione per la Liberazione del Piceno, «Se questo fosse vero, e cioè che il paradigma per valutare la felicità degli Stati è la Bellezza e non la Potenza, probabilmente non esisterebbe al mondo un popolo più felice di quello degli Italiani».

Dettagli down

Generi Gialli Noir e Avventura » Romanzi storici , Romanzi e Letterature » Narrativa d'ambientazione storica

Editore Fazi

Collana Le strade

Formato Brossura

Pubblicato 14/01/2021

Pagine 500

Lingua Italiano

Isbn o codice id 9788893255349

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Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819) renzo.montagnoli1

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voto 4 su 5 Ahi serva Italia, di dolore ostello, inizia con questa invettiva un verso del VI canto del Purgatorio nella Divina Commedia; quando Dante Alighieri scrisse la sua famosa opera era a cavallo fra il XIII e il XIV secolo e la decadenza dellItalia, divisa in tanti staterelli, era sotto gli occhi di tutti. Anche sul finire del XVIII secolo la situazione non era cambiata, tanto che di queste divisioni approfittò Napoleone Bonaparte per mettere i suoi artigli sul Bel Paese, promettendo agli italiani una libertà e fraternità che erano intrise dei colori della bandiera francese. Il romanzo storico di Elido Fazi da un lato si occupa dellascesa e poi della caduta dellastro napoleonico, divorato dalla sua stessa sete di potenza, e dallaltro, in parallelo, delle arti, del vivere civile in pace in sintonia e in armonia con se stessi e con la natura, attraverso le storie di Costantino che non ci sta a essere soffocato dal potere francese e del conte Monaldo, pavido, e dedito soprattutto alle letture. Entrambi hanno due figli con lo stesso nome, cioè Giacomo, ma solo uno, lerede di Monaldo, diventerà famoso non solo in Italia e anche nei secoli a venire. La violenza arrembante del corso che crede in una sua inarrestabile ascesa, che crea il suo stesso mito e poi lo distrugge, aspetti entrambi di una potenza fine a se stessa, e lintelligenza che cerca di penetrare i misteri del mondo, conoscendo anche meglio se stessi, propri di Giacomo Leopardi, si confrontano a distanza, senza mai incontrarsi, troppo diverse nelle loro caratteristiche la potenza e la bellezza, questultima non dellaspetto fisico, ma della natura e delle arti. In 432 pagine Fazi riesce a parlarci della parabola del giovane generale corso che, in preda a una sete inestinguibile, sale sempre più in alto alla ricerca del potere per il potere, arrivando a distruggere se stesso, e in contrapposizione della serena e profonda visione della vita del giovane Leopardi. Cè un punto dellopera in cui il narratore riporta lorazione per la liberazione del Piceno tenuta appunto dal nostro Giacomo e la riporta perché nessun altro pensiero, nessun altro sunto potrebbe spiegare meglio lalto concetto nella stessa contenuto e da cui si evince che a soli 17 anni avesse già capito tutto. Il passo che ci interessa è eloquente e lo riporto perché non saprei dire di meglio: Ma supponiamo che questa supposizione e cioè che un Paese potente è anche il più felice non sia vera, e che la vera felicità dei popoli fosse riposta non nella Potenza ma nella pace necessaria alla creazione di cose belle, alle arti più utili, alle lettere, alle scienze, nella prosperità del commercio e dellagricoltura, fonti della ricchezza delle nazioni. Se que­sto fosse vero, e cioè che il paradigma per valutare la felicità degli Stati è la Bellezza e non la Potenza, probabilmente non esisterebbe al mondo un popolo più felice di quello degli Italiani. Il romanzo scorre fluido come un fiume pacioso che savvia alla foce; la penna di Fazi sa regalare momenti di ironia non disgiunti da una malinconia di fondo per quello che il nostro paese era ed è, e non per quello che potrebbe essere. Se le figure di Napoleone Bonaparte e di Gioacchino Murat appaiono come meteore che velocemente solcano il cielo, per poi svanire, il personaggio di Giacomo Leopardi è quello di unastro che brilla in eterno, e non a caso il romanzo termina riportando per intero lInfinito. Sempre caro mi fu questermo colle..., una lirica di una forza sovrumana, che parla persuasiva di un processo interiore, di una simbiosi fra uomo e natura, un discorso rivolto a ogni uomo e in ogni epoca, unopera immortale.

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