Il diritto inviolabile di propagandare la propria fede o le proprie convinzioni rappresenta un ponte tra dimensione individuale e dimensione collettiva della libertà religiosa e di coscienza. Questo motore, capace di fare avanzare la società in senso plurale, è stato avversato, o addirittura combattuto, nel corso della storia. Oggi, dinnanzi al mutamento della religione tradizionale in fattore socio-politico di coesione rassicurante, la propaganda dei "diversi" continua a pagare la diffidenza del potere e delle sue fonti, ancorché "democratici". Il suo esercizio viaggia sotto traccia, gravato da intralci sottili ma efficaci, nascosti all'ombra di questioni apparentemente altre (dall'accesso ai canali e agli strumenti di comunicazioni di massa alla pubblicità, al finanziamento, all'uso del web e dei social media). Questo lavoro vuole contribuire all'analisi critica dei limiti che gravano sulla libera propaganda in materia religiosa sino al tempo odierno del diritto post-secolare, nel quale il ricorso crescente alla retorica sulla sicurezza rischia di mettere in ombra l'esigenza di affermare un pluralismo "confessionale e culturale" dinamico e aperto, principio al vertice dell'ordinamento e antidoto contro ogni forma di radicalismo aggressivo.