Te soit la grande neige le tout, le rien, / Enfant des premiers pas titubants dans l'herbe, / Les yeux encore pleins de l'origine, / Les mains ne s'agrippant qu'à la lumière.
Sia per te la grande neve il tutto, il nulla, / Bambino dai primi passi incerti nell'erba, / Gli occhi ancora pieni dell'origine, / Le mani aggrappate solo alla luce.
L'istanza platonica, la traccia evangelica, riunite in una veglia che non attende luce, e pure cova epifania: «Hanno posto / Lo specchio nella terra, sotto la neve, / Come fosse un seme; come la spiga del cielo / Che deve marcire a lungo nel fango del mondo» (Una pietra). La poesia di Bonnefoy illumina un arrière-pays, un «entroterra» nel quale non si penetra che per desiderio: una promessa è dunque il luogo della poesia; essa fa dimora nel tempo, eco e parabola di quel Dio che ha voluto nel giorno morire, non potendo piú nascere «sulle acque chiuse». Gli oceani, il «dedalo dei mondi», le stelle sono «perfezione e assenza»: ma il solco e il rovo restano qualcosa di tracciato qui, «il dolore di essere nati nella materia», quel segno che si è aperto e non cicatrizza. Cosí, sulla ferita, la parola di Bonnefoy: « Un modo di dire, a far sí / Di non essere piú soli nel linguaggio».