Non è più il tempo della favola di Borges in cui i cartografi dell'Impero disegnano una carta così dettagliata che finisce per coprire con la massima precisione il territorio... e, se si dovesse riprendere la favola, oggi sono piuttosto i brandelli del territorio che imputridiscono lentamente sull'estensione della carta. Qui e là sono vestigia del reale che sussistono, e non della carta, nei deserti che non sono più quelli dell'Impero, ma il nostro. II deserto del reale stesso. Il grande evento di questo periodo, il grande trauma, è questa agonia dei referenti forti, l'agonia del reale e del razionale, che introduce a un'era della simulazione. Oggi si ha invece l'impressione che la storia si sia ritirata, lasciando dietro di sé una nebulosa indifferente. In questo vuoto, rifluiscono i fantasmi di una storia passata, la panoplia degli eventi, delle ideologie... leucemia della storia e della simulazione. Da oggi, la sola vera pratica culturale, quella delle masse, la nostra (più differenza) è una pratica manipolatoria, aleatoria: labirinto di segni, che non ha più senso... il simulacro puro e semplice della seduzione circola dovunque e, invece di essere l'incubo del discorso e portargli via la sua verità, serve semplicemente a lubrificarne i contorni.