Una donna legge un romanzo a una donna. Fuori, il ronzio del lussureggiante parco Buttes-Chaumont, nel nord-ovest di Parigi. L'ascoltatrice è Henriette Dubois, una vecchia rattrappita dalla poliomielite che le ha tolto la gioventù e l'amore; la lectrice, invece, è un'attrice italiana di 39 anni, si chiama Carla, e la gioventù e l'amore li ha lasciati sfumare restando invischiata troppo a lungo nel limbo di un'adolescenza artificiale. Così inizia questa Storia, che a una prosa sobria, ginzburghiana, mescola i saporiti ingredienti di un feuilleton alla Soldati. Rispondendo a un annuncio di Madame Dubois, Carla ha deciso di metterle a disposizione la sua voce, e di leggerle su richiesta una lunga lista di romanzi in lingua italiana. In questo strano lavoro prova a dimenticare il naufragio di una promettente carriera teatrale, e a rimarginare una ferita d'amore ancora aperta. Ma proprio in rue de Gourmont, si ritrova presto a fare i conti con le radici più dolorose della sua parabola esistenziale. Lei che, come tiene a dire, l'attrice la fa, non lo è, lei che ha scelto d'immedesimarsi negli altri per capirli battendo vie oblique, sente adesso di dover frugare con metodo nel passato della sua compagna di lettura, e di dover indagare fino in fondo le ragioni del proprio fallimento. Ma l'attrice-lettrice, segnata da una cronica precarietà lavorativa e affettiva, non sa interpretare il mondo con gli strumenti politico-culturali dei padri e dei maestri: la sua formazione post-ideologica le permette appena di coltivare un moralismo e un idealismo vaghi, astratti, o di cedere a un darwinismo sociale che schiaccia qualunque utopia. Ed è questo scacco a farne una rappresentante singolarmente credibile delle donne e degli uomini nati negli ultimi decenni del novecento. La sua malattia tocca infatti "tutti quelli che avevano già tra i venti e i trent'anni quando il 2000 è arrivato, e avevano (...) imparato a leggere il mondo con gli occhi luminosi ma ormai quasi ciechi dei loro fratelli grandi, dei loro genitori o addirittura dei nonni". È la malattia di chi ha sempre "nostalgia di epoche e di terre" mai viste, il tarlo degli eterni adolescenti che fronteggiano ovunque "paura dell'abbandono e spaesamento".