Il calcio come lo intendiamo oggi ha la sua origine verso la fine dell'Ottocento, quando lo scopo del gioco non è più semplicemente strappare il pallone agli avversari, ma indirizzarlo in una zona ben precisa e delimitata del campo, che assume la forma di una porta. È la nascita del gol, che di questo sport incarna l'essenza. Eppure, nonostante chiunque ne avverta quasi naturalmente il fascino e il valore incomparabile, il gol è sempre stato inteso solo come mezzo per il raggiungimento di un risultato finale, la vittoria. Mario Sconcerti, una delle firme del nostro giornalismo sportivo, è il primo ad aver studiato il gol come gesto tecnico puro, come costruzione ed evoluzione del gioco, ripercorrendone la storia dai tempi pionieristici degli scudetti del Genoa e del Milan all'inizio del secolo scorso al calcio superprofessionistico e televisivo di oggi. Da quando, cent'anni fa, i campi erano senza erba, fangosi o duri come l'asfalto, e i palloni, tutt'altro che sferici, andavano dove volevano e diventavano pesantissimi con la pioggia, difficili da colpire di testa: fattore che, unito all'altezza media degli italiani, all'epoca di un metro e sessantacinque, produceva da noi un gol veloce, un po' avventuroso, costruito con la palla a terra. A quando, quarant'anni dopo, finita la seconda guerra mondiale, siamo stati invasi da giovani giganti svedesi e danesi (Nordahl, Praest, Liedholm, Jeppson, i fratelli Hansen) che chiedono, invece, la palla alta.