Con la consueta spiccata sensibilità, Francesca Mannocchi ci porta tra le strade e dentro le case a incontrare le persone, adulti e ragazzi, separate da una parete e dall'altra del muro, e da un destino a cui non bisogna arrendersi, per non lasciare spegnere la luce della speranza.
Quando sembra non ci sia più niente da fare - dopo una data, il 7 ottobre, divenuta uno spartiacque verso i tempi più cupi - Francesca Mannocchi prova a riavvolgere il nastro del tempo attraverso le storie.
Camminando tra i kibbutzim distrutti da Hamas, sedendo su una pietra nella Valle del Giordano.
Ascoltando le vite e le ragioni degli altri. Soprattutto, restituendo le testimonianze di chi, sulla stessa terra, vive ma è da decenni senza pace.
A un anno di distanza dal 7 ottobre, partendo da una cronologia che risale fino alle origini del conflitto israelo-palestinese e approfondendo i concetti chiave, l'autrice fornisce le coordinate per orientarsi in uno degli scenari più intricati, e prova a comporre un puzzle difficilissimo, a più voci, sempre restando lontana dai giudizi. Oltre i confini disegnati dalle mappe e dai check-point, tra la città di Hebron, il campo profughi di Jenin e gli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, raccoglie parole di dolore e paura, ma anche di sogni e speranze, seminate ogni giorno su un terreno impervio di ingiustizie, ma anche di tenaci, sebbene minoritari, tentativi di fiducia verso il prossimo.
Invece di dare risposte, ogni incontro di questo viaggio genera domande: che cosa significa appartenere a un luogo? Come è possibile conoscere il tuo vicino e smettere di odiare? Dopo, rimane una sola convinzione: che interrogare il mondo, ed essere disposti ad accoglierlo nella sua diversità, sia il primo passo per cambiarlo.