The Black Mamba, il fenomeno partito dall'Italia e arrivato sulle stelle A sette anni si calava dal balcone della villetta dove viveva per correre verso il campetto all'aperto dei padri Stimmatini di Rieti. A nove costruiva canestri improvvisati in un parcheggio di Pistoia. A undici andava a scuola dalle suore a Reggio Emilia e giocava a biliardino. Come un qualsiasi bambino italiano. Ma Kobe Bryant era nato a Philadelphia il 23 agosto 1978. Poco tempo dopo quell'avventura nel nostro Paese sarebbe diventato uno dei miti dello sport mondiale, vincendo cinque titoli NBA e due ori olimpici. Risultato raggiunto grazie anche, o forse soprattutto, al fatto di essere cresciuto in Italia. Assimilando una cultura e un'organizzazione di vita differenti anni luce da quelle in cui erano immersi i coetanei americani. Sui nostri campetti ha imparato i fondamentali del basket, il senso della sfida, ha capito cosa volesse dire sentirsi libero. Come? Ce lo raccontano i compagni di squadra, i coach, gli amici di un tempo. Episodi che aiutano a comporre il ritratto di un grande personaggio. La curiosa avventura per un autografo chiestogli quando indossava la maglia della Reggiana, l'incontro con Clarence Kea in un autogrill. I retroscena di quella volta in cui ballò sul palco al concerto di un famoso rapper. E poi l'approccio con il basket della futura leggenda quando era ai primi passi sul parquet. «Mi faccia giocare allenatore, io fo canestro» implorava con accento toscano. Era vero. Non ha più smesso. Un libro scritto magistralmente da uno dei più bravi giornalisti sportivi di sempre. (Recensione)