"Io non amo la vita in quanto tale", scriveva Marina Cvetaeva, "per me essa comincia ad avere un significato, cioè a trovare senso e peso, solo trasfigurata, ovvero nell'arte". E Marina Cvetaeva ha voluto che l'intera sua esistenza - pur sprofondata nelle peggiori crudeltà dell'epoca, e pur irrimediabilmente segnata dalle sue stesse personali tragedie - dalla tragica morte per denutrizione di una delle sue figlie, all'uccisione del marito, fino al suo stesso suicidio -, venisse trasfigurata nell'arte. Nelle prose inedite riunite in questo volume, la Cvetaeva si racconta, ma le sue non sono semplici pagine autobiografiche, dal momento che, come scriveva a Boris Pasternak , "la vita quotidiana è tradimento: dell'anima. Tradire con l'anima la vita dei giorni - credo di non aver fatto altro nella mia vita". L'intento di Marina è semmai quello di controbattere, con un proprio passato rivisto e corretto dal mito dell'arte, un tempo presente del tutto inaccettabile e indegno: tempo di esilio, di solitudine, di perdita, di cancellazione. E a questa cancellazione che in primo luogo si oppongono queste pagine della Cvetaeva, che vede l'intero suo mondo sempre più travolto, come quella Germania divenuta paese nemico e che per lei era stata e rimaneva sinonimo di libertà: la patria di Bach, di Heine, di Goethe... Tra Germania, Francia e Russia, Marina dissemina i suoi ricordi, le sue esperienze, soprattutto i suoi sentimenti...