Uomini e no è un romanzo che non ci fa arrampicare sui monti, ma ci porta nel mezzo della guerriglia in città, della giustizia sommaria delle SS e del loro agghiacciante sadismo. Le vicende si svolgono nel gennaio del 1944, fra attentati agli occupanti tedeschi e ritorsioni che portano al rastrellamento di numerosi civili esibiti come macabri trofei di caccia per le strade. Enne 2 e i suoi compagni si impegnano strenuamente nella lotta, anche quando essa sembra negare un senso e soffocare la speranza, anche quando i più agguerriti cedono e la cattura è più una certezza che una paura. Fra un'azione armata e l'altra, però, Enne 2 ha Berta, un ricordo e un pensiero quasi inafferrabile, una passione appena ritrovata ma per la quale rischiare tutto. Nonostante la consapevolezza della necessità della lotta, comune alle conclusioni, pur rassegnate, del personaggio di Pavese, nemmeno Vittorini cade nella celebrazione della Resistenza. L'autore, come tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle quel momento storico, ha coscienza del carattere tanto inevitabile quanto drammatico della scelta dell'opposizione armata. Se in un primo momento Enne2 e i suoi compagni si identificano nella causa della felicità umana, ben presto, di fronte alle perdite e ai massacri degli innocenti, si fa largo nel protagonista la convinzione che resistere è necessario di per sé, per non arrendersi, per non lasciarsi strappare l'amore per la libertà, anche quando ogni significato si nega. Il romanzo ci offre una riflessione frammentaria sulla lotta, sulla violenza, sulla loro necessità e sulla frattura che determina fra l'essere umani e non esserlo. Enne2 è un uomo immerso nella resistenza e nelle sue azioni, ma non può non vederne le contraddizioni e non chiedersi il perché di ogni sacrificio. Come accade in La casa in collina, anche qui ci sono dei morti che chiedono ai vivi le ragioni, ma solo persone come Enne2, non accecate da ideologie e a contatto con tutti i risvolti della ribellione, possono avvertire l'urgenza di quegli interrogativi. Il sangue versato dalle SS è allo stesso tempo un grande inquisitore che domanda se valga la pena continuare ad opporsi, un'evidenza che pretende dai partigiani la consegna dei colpevoli disumani e la risposta che incita a resistere e a trovare nel bisogno di evitare il perpetrarsi dell'orrore il motivo della resistenza stessa. Introduzione e commento di Angelo Porcaro.