Ogni fenomeno è traccia materiale delle forze invisibili che l'hanno generato, fusione indissolubile di contenuto e forma, di elementi interiori ed esteriori. Così va intesa quella pittura che, affrancata da propositi figurativi, aspira a incarnare sensazioni, emozioni e passioni, in una parola: l'intima essenza della vita. Tale era il senso della rivoluzione operata all'alba del secolo scorso da Kandinsky, il fondatore della pittura astratta. Tale è l'oggetto di indagine di questo saggio di Michel Henry, il cui pensiero fenomenologico si snoda tutto attorno al tema della vita, quella vita che il "pioniere dei pionieri", mira a rappresentare pittoricamente nella sua pulsante invisibilità. Non si tratta più di "astrarre da" qualche elemento del mondo visibile, né di cogliere un'esteriorità già di per sé costituita per restituirla in forma di immagine più o meno mimetica. La sfida è far venire alla luce qualcosa che prima non esisteva se non in una dimensione clandestina. Ma se il mezzo pittorico, per sua stessa definizione, è esibizione del visibile che si manifesta in forme e colori, come può dar corpo a una realtà nascosta alla vista? A partire dall'analisi dei testi teorici che hanno accompagnato lo sviluppo dell'arte astratta di Kandinsky e che ne costituiscono la via d'accesso privilegia- - ta, Henry mostra come l'artista separi colore e linea dalle costrizioni della forma visibile: ogni linea è il prodotto di una forza, ogni colore è legato a una tonalità affettiva, a una sonorità interiore. Se siamo essenzialmente forza e affetto, allora linee e colori permettono al nostro essere più intimo di emergere. Più che dare avvio a un semplice movimento in pittura, l'astrazione di Kandinsky ci rivela dunque la verità profonda dell'arte, che in qualche misura è tutta astratta, svincolata da un'aderenza al mondo esterno. Cogliere i princìpi di questa rivoluzione equivale a comprendere che l'arte' è l'espressione massima della potenza della vita e, in definitiva, la sua più esemplare oggettivazione.