Il diario di Giuseppe Paracchini si apre il 12 febbraio 1917, quando il suo autore, non ancora ventenne, parte da Bra per il fronte del Carso. Già quattro giorni dopo si trova in trincea nella zona del vallone del Doberdò, sotto il tiro dell'artiglieria austriaca, e nella zona rimane fino alla fine di ottobre. Quando circola voce che l'esercito italiano è in rotta e i Tedeschi sono giunti a Cividale, non vuole credere alle notizie: "Sarà qualche farabutto!": ma la situazione è davvero drammatica. Il 27 ottobre arriva l'ordine di ritirarsi al di qua del Tagliamento e di dirigersi a nord verso il Monte Corno. Con la ritirata aumentano anche i disagi quotidiani: manca il cibo, il freddo si fa sentire, e il 3 novembre gli Austriaci passano anche il Tagliamento. Il 6 novembre Giuseppe, sempre accompagnato dal suo diario, è fatto prigioniero con la sua Compagnia e portato in treno al campo di prigionia di Marketrenk, presso Linz, dove rimane fino al 2 novembre 1918, quando gli Austriaci, ormai sconfitti, sguarniscono il campo. A gruppi, i soldati italiani si dirigono a piedi verso il confine attraverso la Val Badia, finché il 4 novembre "dopo aver mangiato un piatto di maccheroni al sugo, si parte per costituirci all'autorità italiana, perché ci invia presto a casa dai nostri cari che da 22 mesi non ci vedono più".