Chi era Vivian Maier, una bambinaia? Una fotografa? Fondamentalmente una sconosciuta che ha attraversato la vita occupandosi dei figli degli altri e osservando il mondo attraverso il mirino della sua Rolleiflex fino a quando John Maloof, entrato casualmente in possesso di migliaia di negativi, non ha mostrato al mondo le sue foto. Da allora in molti stanno rovistando nella sua vita alla ricerca di indizi che svelino qualche segreto su questa donna schiva. Noi abbiamo scelto di far parlare le sue immagini, unica autentica testimonianza che, forse suo malgrado, ci ha lasciato.
Vivian Maier. Ignota a me stessa-Unknown to myself
Pat Ercole - 19/08/2020 16:48
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Il gioco pudico e sfacciato dell'identità
Una cosa che si nota, o si vive, guardando le fotografie di Vivian Maier, è il gioco pudico e sfacciato dell'identità: specchi usati come finestre trasparenti, rimbalzi tra "io" e "non-io", ombre che annunciano, denunciano, ironizzano, esorcizzano l'assenza. Come ogni fotografo, ma molto di più, Vivian Maier non solo mostra il mondo, ma mostra il proprio guardare. Più che un gioco, è una danza di corpi e di sguardi che a tratti si fa vertiginosa, e pericolosa. Sarebbe abbastanza: ma Patrizia Ercole e Silvestra Sbarbaro hanno aggiunto il loro sguardo, che è molto particolare. Ai modi estetici, psicologici, esistenziali, sociali, di guardare quelle immagini, hanno aggiunto uno sguardo drammaturgico. Oltre a entrare in quel gioco come nuovi soggetti, nuove danzatrici, creando un testo, per la stampa e per la voce, hanno dato una misura (provvisoria), una "durata", una unità-di-discorso, una zona di senso, all'abisso seriale delle immagini. Mettendo in (un) teatro alcune di quelle immagini, e parlandone (non in didascalia, ma in controcanto) sono state, per l'austera e sfuggente straniera, amichevoli e ospitali.
Roberto Piumini
Pat Ercole - 19/08/2020 16:48