"Sistole e diastole, chiusura e apertura al mondo, filosofia e poesia: la [...] raccolta del giovane Dario Talarico muove da una serie di antinomie insite nell'essere umani (e nell'esserlo in questo hic et nunc della postmodernità: 'noi siamo quelli in cui i tempi son cambiati', p. 14) senza cercare di riconciliarle congelandole in un pensiero razionale, bensì accettando il baratro insanabile e anzi facendone la ragione ultima del proprio fare poesia. Che è un fare poesia sconcertante, basato su lapidari paradossi apoftegmatici già a partire dal titolo, quel 'non lasciare segni' che sembra lontanissimo dalla nostra natura umana, tutta basata sul costruire e lasciare impronte a testimonianza di aver vissuto e come lascito alle generazioni successive, in una sorta di perenne inseguimento di 'magnifiche sorti e progressive' che la modernità ha imparato a negare almeno a partire da Leopardi, Nietzsche (specie quello di Aurora) e Wittgenstein - tre numi tutelerai di poesia e filosofia la cui presenza vivifica tutta la raccolta in modo discreto ma coerente." (dalla postfazione di Mauro Ferrari)