Il tema di questa ricerca, pubblicata per la prima volta nel 1976, si inserisce nel più vasto filone di studi sulla classe dirigente italiana in età moderna e in particolare sul ceto nobiliare, che proprio in quegli anni aveva assunto rilevante consistenza storiografica con i contributi di Chabod, Berengo, Ventura e altri. La forma di governo tipica delle città italiane, grandi o piccole che fossero, quella cioè del reggimento chiuso, l'esistenza di uffici di corte spesso paralleli a quelli cittadini, posero con urgenza alla nobiltà il problema di una formazione dei propri membri che fosse funzionale alle esigenze dei ruoli che essa veniva ad assumere, spesso per la prima volta, nei posti chiave della burocrazia e dell'amministrazione dello Stato. La risposta inadeguata delle Università favorì il moltiplicarsi di istituzioni che si proponevano di affrontare organicamente il problema della formazione dei nuovi quadri della classe dirigente. Tali erano i "seminaria nobilium" che, grazie alle pressioni della nobiltà locale, all'intervento finanziario dei principi e soprattutto all'attivismo dei Gesuiti, vennero istituiti in numerose città europee. L'analisi delle formule educative, dei modelli culturali e degli stereotipi comportamentistici proposti ai convittori di questi collegi, assume un valore fondamentale per una migliore comprensione dei meccanismi che consentirono alla nobiltà di mantenere pressoché inalterato il proprio ruolo sociale e politico dal Cinquecento alla crisi settecentesca.