Raccontare storie e dissertare di argomenti psicoanalitici potrebbero sembrare attività distanti, forse inconciliabili. I libri di Adam Phillips dimostrano proprio il contrario: le teorie dei grandi analisti del passato si possono spiegare con i racconti dei pazienti e degli psichiatri, con le vicende dei personaggi che popolano le nostre nevrosi e che cerchiamo di ricostruire sul proverbiale lettino. Nei saggi raccolti in questo libro lo psicoanalista britannico affronta temi "seri", come la solitudine e la preoccupazione, e altri che, pur apparentemente "frivoli", non andrebbero per questo trascurati: altrettanti segnali del profondo, il solletico, la compostezza, la noia, il bacio vengono scandagliati da Phillips aggirando l'idea che l'analista abbia a che fare unicamente con i "pazienti". Il risultato è un'indagine anticonformista, dai risvolti spesso insospettabili e avvincenti, dove i fitti riferimenti al corpus freudiano e alle opere di Winnicott aiutano a chiarire, e mai a confondere. Anche sulla pagina scritta, la "terapia della parola" è tanto più potente ed efficace se lo psichiatra e il suo interlocutore si concedono lo spazio necessario per ascoltarsi e, soprattutto, scoprire le storie di cui sono autori e protagonisti.